Scritto e disegnato dal cartoonist newyorkese Art Spiegelman (1948) nel 1971, “Maus” (letteralmente “topo” in tedesco) inizialmente era una storia breve a fumetti di tre pagine. Successivamente quella storia fu riadattata in una graphic novel di due volumi. Il primo, dal titolo “Racconto di un sopravvissuto, mio padre sanguina storia”, fu serializzato dal 1980 al 1991 su RAW, la rivista underground fondata dall’autore stesso assieme alla moglie Francoise Mouly (1955); il secondo volume, “E qui sono cominciati i miei guai”, fu invece serializzato settimanalmente su “The Jewish Forward”. Entrambi sono stati poi pubblicati negli USA dalla casa editrice Pantheon e in Italia si trovano raccolti in edizione integrale per Einaudi.
MAUS è la storia della riconciliazione tra un padre e un figlio che non potrebbero essere più distanti, dell’inimmaginabile orrore a cui è impossibile dare un senso e del fardello che tutti i sopravvissuti alle atrocità della Shoah e loro famiglie sono costretti a portare per il resto delle loro vite. L’opera di Spiegelman, vincitrice di innumerevoli premi , tra cui un Eisner Award (per chi non se ne intende, l’equivalente dell’Oscar nel mondo del fumetto) e uno Special Award del Premio Pulitzer, è il risultato della rielaborazione in vignette delle conversazioni avvenute tra Art e suo padre Vladek (1906-1982), ebreo polacco sopravvissuto all’internamento nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Shoah. I due ripercorrono insieme la vita passata di Vladek nel vecchio continente, sin dall’epoca felice del fidanzamento e del matrimonio con Anja Spiegelman (1912-1968), madre dell’autore, anche lei sopravvissuta all’orrore dello sterminio di massa, morta suicida senza lasciare una rigaSi ricorda poi, la nascita del primo figlio Richieu, di cui non rimane altro che una foto polverosa in bianco e nero, sino ad arrivare all’occupazione nazista e al confinamento nel ghetto e poi i rastrellamenti, la clandestinità, una mal riuscita fuga, i mesi passati in condizioni disumane ad Auschwitz e la tanto agognata liberazione.
MAUS si contrappone ad altri testi simili non solo per la scelta originale di utilizzare un mezzo di comunicazione come il fumetto, ancora oggi da molti malvisto e surclassato a cianfrusaglia per bambini, ma in particolare per la raffigurazione dei personaggi, tutti animaletti antropomorfi che, fuori contesto, potrebbero benissimo essere gli allegri compagni canterini del Mickey Mouse Disney anni ‘30 in mutandoni rossi. Così gli ebrei diventano topolini spauriti, giacché il ratto nella propaganda antisemitica era un animale spesso associato al “giudeo parassita” temuto dalle masse, ed il tristemente famoso Zyklon B, usato per uccidere milioni di innocenti nelle camere a gas, era proprio un pesticida. Invece i tedeschi sono gattoni dal pelo lungo, forse per evocare una versione distorta della classica rivalità gatto-topo come quella tra Tom e Jerry. I polacchi diventano maiali, perché, come scrive l’autore: «ai maiali si dà da mangiare, si uccidono, si mangiano. Se hai un topo o un ratto nella fattoria c’è una sola cosa da fare che è ucciderlo prima che si mangi il tuo grano», esemplificando così il volere del Terzo Reich di sfruttare fino alla morte la manodopera polacca.
Paradossalmente, l’utilizzo di personaggi tanto particolari lascia nel lettore un impatto così possente che nessun adattamento hollywoodiano, per quanto pregevole e pluripremiato, dal budget illimitato, potrebbe mai battere. Tra i protagonisti e il lettore si forma un legame empatico potentissimo. Ci si ritrova a disperarsi, a tentare di non perdersi d’animo, a cercare costantemente un barlume di speranza nella tragedia assieme a questi topini e, voltata l’ultima pagina ci si sente quasi in dovere di condividere con altri questa potente testimonianza, mantenendo in tal modo viva la memoria dei fatti nella coscienza di tutti noi, giovani e vecchi, obbligandoci a non restare indifferenti e a impedire che altre vite innocenti vengano spezzate brutalmente, colpevoli unicamente di essere nate nella parte sbagliata del mondo o di avere un credo diverso.