Qualche giorno fa, fra i tanti articoli pubblicati sui quotidiani in occasione del Giorno della Memoria, ha attirato la mia attenzione quello pubblicato dal Corriere della Sera: Segre e il giorno della memoria: “ La gente pensa: che noia gli ebrei “, il quale riporta il sentimento “pessimista” espresso durante la conferenza stampa tenutasi presso il Comune di Milano in occasione del lancio delle iniziative in vista della Giornata della Memoria dalla senatrice a vita Liliana Segre sul futuro della memoria condivisa in Italia.
La senatrice si è detta pessimista, ritenendo che tra qualche anno ci sarà soltanto una riga sui libri di storia e poi nemmeno più quella a ricordo della Shoah e, quindi, di quanto accaduto al popolo ebraico nel secolo scorso. Anzi, proprio perché ha riguardato gli ebrei – sostiene – la tragedia sarebbe “nota” e, pertanto da ritenersi noiosa.
Seppur la previsione espressa sia certamente tragica e preoccupante, ritengo, se può essere di magra consolazione, che essa possa, senza ombra di smentita, essere generalizzata a quasi tutti gli eventi, tragici e non, verificatisi nel secolo scorso e in alcuni casi anche ad alcuni risalenti solo a pochi decenni or sono.
La spiegazione, a mio avviso, è da ricercare nelle caratteristiche proprie dell’attuale società, nella quale la memoria pubblica sta trascinando via via nell’oblio la memoria culturale a favore di quella comunicativa.
Infatti, anche in Italia la cultura dominante è fortemente rivolta al futuro ed in questa vera e propria corsa ossessiva noi, come “maratoneti”, non abbiamo la possibilità di voltarci verso il passato se non rischiando di inciampare.
Anzi, se qualcuno tenta di riportare all’attenzione eventi storici, come detto prima, viene etichettato come “nostalgico”, “vecchio” oppure, e nel migliore dei casi, “boomer” (termine mutuato dal linguaggio anglosassone per descrivere un soggetto che si ferma a pensare, fermo nel passato), a dimostrazione di una precisa volontà di voler quasi cancellare quanto di spiacevole successo alla ricerca a tutti i costi di un volubile ed effimero senso di pace.
In questa direzione i mass media e la politica stanno svolgendo un ruolo di volano, proponendo il concetto della superiorità e bellezza del nuovo rispetto al passato definito obsoleto.
E così la nostra società ha acquisito negli ultimi anni una memoria per così dire corta.
Per tale motivo, traendo spunto dall’intervento innanzi citato, sarebbe bello istituire non solo la Giornata “della Memoria” ma “delle Memorie”, con riferimento a tutti quegli altri tragici eventi più o meno simili come la deportazione nei gulag o la vicenda degli istriani, affinché quanto accaduto non abbia più a verificarsi.
Concludo la mia riflessione riportando la frase citata pochi giorni fa dall’editorialista del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli: “La memoria è come un giardino. Va curata. Altrimenti si ricoprirà di erbacce. E i fiori dei giusti scompariranno. Divorati.” Per concretizzare questo proposito, è necessario suscitare quello che definirei un “tumulto memoriale” affinché nella comunicazione torni l’urgenza si considerare la memoria come momento centrale in senso anzitutto culturale.
Fulgida Frattolillo IID