Nella notte si aggira un uomo sulla sessantina, la luna illumina il suo volto solcato da rughe che sembrano fiumi nel momento in cui luij piange. Il suono delle campane assorda le sue orecchie sempre più delicate, siede su una panchina composta da una miscela di ruggine, umidità e legna, le termiti la consumano, gli alberi sono ombre mostruose, i rami i suoi arti feroci, quest’ultimi non risparmiano neanche un povero bambino. Nessuno, questo è il suo nome, una persona senza identità, amore, pace, dignità, senza una ombra. Piange, ride, è in preda alle emozioni, sorride, si domanda “chi sono io, un misero barbone, senza futuro, nullità della società?”. Esempio perfetto del complesso e della disperazione umana. Ora disteso sul piano ruvido e duro, la schiena scomposta, imperfetta, riflette, osserva scrupolosamente gli esseri gialli, senza volto, in una sola parola, stelle, la luna, affascinante, amante del cielo, dell’universo, dei sogni. Nessuno alza il braccio la cui pelle pende, cerca di intrappolare il tappeto blu che lo sovrasta: aria, afferra solo maledetta aria. Gli occhi piangono, le labbra cercano di trasformarsi in un sorriso, nulla, solo tristezza, disperazione, pienezza del nulla. Le palpebre pesanti si baciano tra loro, Nessuno poggia la guancia segnata dalla fame sul legno freddo, che attraversa la colonna vertebrale che fuoriesce dalla carne ridotta a pochi centimetri. Cade in una morte apparente, un sonno deprimente. Le mani sulla pancia se così può essere definita, la barba ingrossa il suo volto, i capelli bianchi sorridono alla luna. Buio totale, un attimo, un istante, un tempo infinito ma breve e… luce, quest’ultima lo acceca, le occhiaie violacee spaventano il vento, gli alberi, i raggi di sole brillano sulle dita affusolate e lunghe di Nessuno. Si alza, le gambe pesanti compiono piccoli passi, si avvia verso una fontana, l’acqua viene a contatto con quella pelle morta, senza alcuna vita, un sollievo, una freschezza, sorride, una smorfia caratterizza le sue labbra sottili, un piccolo e innocuo momento, piange, si dispera, stringe a sé la struttura in ferro, inanimata. Le lacrime raggiungono i rami ruvidi della sua barba. Gli stracci che coprono quel corpo esile, ormai più che umidi, zuppi. Con passi disperati ritorna alla sua piccola casa, una panca, siede, strofina su sé uno straccio grigio topo, asciuga le radici della non purezza. Non riesce a vivere. “Merito ciò?”. Possiede uno specchio: il vetro in frantumi riflette un Nessuno a pezzi, ed è a pezzi il suo animo ormai consumato. Tira fuori un paio di forbici, lo guarda, con aria strana, si potrebbe pensare ad un… non ha voglia di eliminare quella barba senza fine, si specchia, le dita trapassano la folta foresta incastrata sul volto. Ripone l’attrezzo, non vuole cambiare. “Il destino mi ha ridotto a ciò e a ciò devo appartenere”. Passa un uomo di bell’aspetto, alto, snello, le dita affusolate reggono una valigetta di pelle, la cravatta stringe il suo lungo e pallido collo, il completo nero lo rende ancor più affascinante. Il viso si rivolge a Nessuno. Uno sguardo disgustato lo caratterizza e pronuncia: “Miseri barboni, dovrebbero ripulire le strade di queste nullità, come gli ebrei. Ah, se solo fosse in vita Adolf Hitler, grande uomo”. Raggiunge l’ufficio, si volta e dalle labbra carnose una chiazza di saliva percorre un tragitto dal palato al marciapiede. La vittima emana un sospiro senza fondo. Passi pesanti colpiscono il terreno, la polizia accompagnata dal nazista privo di scrupoli, si avvicina all’uomo il cui futuro non è presente, cercano di mandarlo via, Nessuno non riesce a poggiare il suo peso sulle due colonne sottili. Lo alzano violentemente, lo spintonano, non ha più una postazione, una “casa”… Ha con sé una piccola borsa scura, trascina il corpo, cerca tra la spazzatura, un cartone fa da abitazione non sicura. È notte, la struttura di carta doppia è riparo e coperta allo stesso tempo. La luna è rotonda, rossa come le fragole che Nessuno non gusta da anni, gli manca quel sapore inaspettato, sublime, delicato, dolce, senza difetti, il succo che cola sembra sangue proveniente dalla carne pallida. Chiude gli occhi, osservatori della vita. L’aria è tiepida, un sorriso inonda il suo volto, in questo momento sogna, una cascata limpida, i pesci di ogni colore trapassano l’acqua leggiadra, le colombe bianche come neve sbattono le ali nell’aria pura, filtrata da un senso di pace apparente, una figura si avvicina, un bambino piange, le lacrime creano uno strato sottile di paura, una donna poggia l’esserino indifeso in una cesta, si dispera, accarezza quel futuro uomo, lo stringe a sé, persone in un unico corpo costrette a dividersi, una luce abbagliante… Urla, le palpebre si allontanano, suda, le gocce creano percorsi sulla fronte e le tempie prive di carne morbida ma costituite da ossa frantumabili. Si dispera, stringe i pugni senza alcuna forza, si sente soffocare, si alza, passo dopo passo impazzisce, muore, vive, lacrime, risa, smorfie, paura… sviene. Un suono senza fine lo tormenta, un’ambulanza lo trasporta, voci confuse lo chiamano, non risponde, è come se si trovasse in un altro mondo, un pollice solleva la palpebra stanca di Nessuno, la pupilla fissa non reagisce, un tubicino trapassa il suo braccio stremato. Ora in una stanza senza colore gli domandano: “C’è qualche parente che possiamo avvisare?”. La risposta è un cenno debole e negativo. Vuole andar via da questo luogo, non sopporta il rumore di carrelli che trasportano miseri brodi senza sapore. È il suo turno, assaggia quel pasto tanto odiato dai clienti ma lui lo ama, da quanto non mangia, gli sembra di ingrassare a ogni cucchiaio infilato nella bocca da una dolce infermiera. Lei gli sorride, è come se Nessuno la conoscesse. Cerca di alzarsi, vuole andar via, la donna lo blocca, con un braccio gli avvolge le spalle e lo consola poggiandolo su un morbido cuscino. Piange, gioca violentemente con le mani, gli occhi emanano cristalli d’acqua, vuole andare in bagno, la giovane lo accompagna, aspetta accanto alla porta. Non sa quale sia il piano dell’uomo, preoccupata bussa insistentemente, non è presente una risposta, una folata di vento, Nessuno è andato via, i piedi poggiano sull’erba umida. Il profumo dei fiori attraversa le sottili narici, l’infermiera sta in silenzio, lo osserva, chiude la finestra e non racconta nulla. La borsa scura non è con sé ma ciò non importa, cerca un luogo dove gridare le sue paure, i suoi tormenti, le sue poche gioie come osservare i gabbiani innalzarsi nel cielo. Sente un odore salato, aspro, lo cerca e… il mare deserto lo aspetta. I talloni asciutti si spostano nella sabbia fine, una freschezza nuova lo inonda, si spoglia, le costole sporgono come il resto delle ossa senza calcio. Si immerge delicatamente, galleggia nel nulla, ora senza timore urla, lo fissano ma Nessuno non prova vergogna, si allontana sempre di più, chiude gli occhi, è come se conoscesse il mare, lo abbraccia, riflette. Un lampo, le palpebre spalancate, è in mezzo ad una piattaforma deserta, si lascia andare, si immerge totalmente, l’acqua entra nelle orecchie, nelle narici che ormai bruciano, un altro istante, il corpo secco al sole, un’isola lo accoglie, i sassi esposti ai raggi scottano, non ha nulla solo una grande immensità. Le palme lo accolgono nella frescura, si sdraia accanto alla corteccia ruvida, formiche lavorano davanti ai suoi occhi, passano con foglie poggiate sul dorso stanco, un paradiso lo circonda, la paura è nulla, il corpo caldo sorride, ringiovanisce dal dolore, vive, un rilievo caratterizza la distesa sabbiosa, la mano dell’uomo afferra quell’oggetto misterioso, tra le dita un libro, la copertina consumata lo osserva, apre il tesoro, parole fuoriescono dalle pagine salate, immerso nella storia, legge, unico dono che possiede, riconoscere le lettere tinte di inchiostro ormai sbiadito, sfoglia, si taglia, la goccia scorre, raggiunge un termine, felicità, desiderio di Nessuno, fissa la parola, il sogno. Continua il racconto, il sole viene risucchiato dall’acqua, il libro è terminato. Lo rilegge, cerca il suo significato, la luna illumina quella storia senza fine, i rumori dolci del mare lo cullano, le foglie galleggiano su una superficie imperfetta, tempo breve ma infinito, la palla di fuoco viene sputata dal mare. Il libro è terminato. Il tema è svelato, la vita è una sola, non va disprezzata. Si alza, la forza lo sorregge, in lontananza scorge una barca abbandonata, la osserva, si avvicina senza alcun timore, la sfiora, entra, una ascia lo attira, la afferra con forza, una forza inspiegabile. Con passo svelto si dirige verso quell’albero innocente, colpo dopo colpo l’essere si indebolisce, piange per il dolore, Nessuno con grande furia continua… una fitta al petto lo sveglia, la sabbia bollente lo abbraccia, il cielo lo travolge, gli occhi luminosi ridono, le labbra finalmente una figura gioiosa, abbandona il suolo, una energia nuova lo accompagna, le rughe inesistenti, la carne liscia ma sempre sottile. Passeggia, bagna i piedi, osserva quel miscuglio di cielo e mare. Il tramonto ora lo illumina, illumina la sua prima felicità, le nuvole riflesse negli occhi blu. Indossa nuovamente i suoi stracci, va in cerca di aiuto, lo respingono, lo odiano, una gioia immensa lo travolge, la borsa scura lo attende sulla sua amata panca, ride, la giovane donna sa dove vive. La afferra, tra le mani le forbici e lo specchio, un riflesso sorprendente, fili di barba cadono sull’erba, tagli continui, labbra che fuoriescono, la pelle liscia accarezzata dalle sottili dita. Nello specchio l’immagine di un ventenne la cui anima e il corpo invecchiati finalmente fuggono dall’anzianità.