Ci troviamo in un periodo storico in cui il clamore non è suscitato dagli eventi politici, dalle perdite in mare e dai continui conflitti nelle zone più periferiche del mondo, definite tali solo perché viste dal nostro punto di vista; abbiamo avvertito il pericolo bellico solo quando è stata la nostra normalità ad essere messa in discussione dai cannoni. Non abbiamo la reale percezione della storia e delle ricorrenze che da essa derivano, forse perché non abbiamo mai vissuto la pressione di un conflitto che potesse distruggere ogni nostra certezza. La continua tranquillità in cui abbiamo vissuto e che domina la nostra quotidianità ci ha fatto dimenticare quello che è successo.
La nostra repubblica, forte della democrazia di chi ha perso la vita per conquistarla, viene fuori da una dittatura sanguinaria che ha gettato l’Italia in condizioni che oggi ci sembrano soltanto una favola: per molti la fame, la carestia, guardare i propri figli e non sapere con cosa sfamarsi o affacciarsi dalla finestra e vedere la propria campagna devastata dai bombardamenti, era una solida realtà, non una pagina sbiadita dei libri di storia. Ci dicono sempre che il fascismo sia solo un lontano ricordo e che questo non rappresenti un problema per la nostra società, ma ciò che accade oggi ci dice il contrario. A Firenze il 18 febbraio scorso un gruppo di ragazzi come noi si è trovato a manifestare e ha subìto un’aggressione da parte di nostalgici della non libertà, delle catene, della paura.
Ci hanno detto che il 25 aprile è solo una data convenzionale; ma in quel giorno, 78 anni fa, un partigiano, diventato Presidente della Repubblica, ha preso in mano un microfono e ha comunicato agli italiani che finalmente erano liberi. L’antifascismo non significa schierarsi politicamente da uno piuttosto che l’altro lato, ma implica necessariamente dichiararsi a favore dell’Italia nella quale viviamo, significa semplicemente prendere le distanze dalla paura e dall’oppressione ed essere a favore del nostro sistema governativo. Dichiararsi antifascisti significa volere l’Italia com’è oggi, significa essere d’accordo con la Costituzione. L’antifascismo è il valore fondante senza il quale non esisterebbe la Repubblica stessa. E in virtù di ciò, risulta ambiguo, a tratti bizzarro, che un ministro della Repubblica faccia un richiamo ad una preside autrice di un comunicato con cui intende prendere le distanze dall’aggressione fascista ed esortare i suoi alunni all’antifascismo.
È assurdo come il nostro ministro, difensore dei principi e dei valori fondanti della Repubblica, arrivi a richiamare colei che ha condannato la violenza anziché mostrare biasimo nei confronti di quanti, con la violenza, hanno calpestato i valori che lui stesso dovrebbe difendere. Vogliamo la pace? Ci sentiamo davvero liberi? Se la risposta a queste domande e sí, non possiamo mettere in discussione l’antifascismo come una prerogativa politica esclusiva di determinati partiti o una posizione non consona alla professione di una dirigente scolastica.