C’è un filo invisibile che lega il più importante poeta latino e una giovane artista ucraina: un’ansia, un desiderio viscerale di pace. Perché entrambi hanno a che fare con la tragedia della guerra, nel 42 a.C. come nel 2022.
“Prima della guerra, facevo arte perché volevo farlo. Adesso, [farlo] mi salva dai pensieri”.
Varvara Logvyn trasforma gli ostacoli anticarro (noti come “ricci”) e altri oggetti di uso militare in opere d’arte dipingendo su di essi motivi tradizionali del Petrykivka, stile pittorico-decorativo ucraino. L’artista diffonde le immagini dei propri lavori e il processo creativo tramite i suoi canali social, allegando messaggi di pace ma anche istruzioni e informazioni utili per coloro che volessero seguire il suo esempio. Ciò che apparentemente può essere considerato solo come un monito nei confronti di una tragedia immane diventa in realtà anche una tela, uno spazio utopico per un’idealizzazione che, sotto la precisione delle pennellate vivaci e i motivi floreali, nasconde sicuramente un messaggio di monumentale importanza: il desiderio di pace e serenità del popolo ucraino, che passa inevitabilmente anche attraverso l’affermazione, la protezione e la rivendicazione della propria identità culturale. Logvyn, tornata a Kiev ad Aprile 2022 dopo essersi rifugiata nella zona ovest del paese in seguito all’invasione avvenuta a febbraio ad opera dell’esercito russo, afferma di aver iniziato il progetto come risposta ai sentimenti dei cittadini, esausti dalla guerra, per diffondere sentimenti positivi nella popolazione: i “ricci” non vengono percepiti come protezione e garanzia di sicurezza, bensì come richiamo al dolore della guerra. Nelle opere di Varvara Logvyn serpeggiano sentimenti innati nell’essere umano, ritratti anche da Virgilio, poeta latino. Nella sua prima grande opera, le Bucoliche, il lettore fa la conoscenza di pastori che, in un’ atmosfera sentimentale e contemplativa, cantano struggenti lamenti per amori non corrisposti e si sfidano nelle esecuzioni dei loro componimenti. Tali personaggi sono connotati nello spirito, esistono tramite i propri stati d’animo, appaiono estremamente caratterizzati e allo stesso tempo lontani, sfumati, figure dai contorni indistinti emerse da un sogno ambientato in una terra beata, un paesaggio idealizzato. Le scene bucoliche sono vere e proprie istantanee di un’utopia, ma il locus amoenus virgiliano non è perfetto: all’orizzonte si profilano, lontani ma presenti – e quindi minacciosamente incombenti – gli eventi contemporanei. La campagna mantovana, talmente idealizzata da finire con l’ identificarsi con il mito dell’Arcadia, si trasforma in realtà in un luogo inventato, irreale, un luogo interiore che si rivela essere rifugio dai turbamenti di un animo tormentato e oppresso dalla propria epoca. I dolci canti dei pastori e la loro vita sospesa nell’idillio riflettono un ardente desiderio di serenità che nasce delle profonde ferite generate nel poeta dal sentimento della “grande paura” dovuta al protrarsi della guerra civile. In questo senso, ogni aspetto delle Bucoliche acquista un significato ulteriore e allegorico: la malinconia e l’attesa dei personaggi rispecchiano lo smarrimento sofferente e un’attesa speranzosa – o meglio un’ansia – di pace dell’intera società. Il lettore si approccia a tale orizzonte attraverso gli occhi dei pastori, da un punto di vista inedito e quindi decisamente più efficace: la percezione del dramma della guerra avviene grazie al cambio di atmosfera, improvvisamente malinconica e gravosamente carica di angoscia nel momento in cui idealizzazione e realtà si scontrano e la prima soccombe. Allo stesso modo, nel guardare un contenitore destinato al trasporto di fucili decorato con fiori dai toni accesi e vivaci si avverte implicitamente e intimamente di essere di fronte a qualcosa di ossimorico, che in virtù di tale contraddizione smuove l’animo dell’osservatore più delle immagini canonicamente utilizzate per descrivere un conflitto. Le opere di Virgilio e Varvara Logvyn guardano all’eternità perché immerse nel presente, cariche di spunti storici ed autobiografici che si intrecciano con un piano ideale, un sogno di speranza, aspirazione naturale e universale, capace di oltrepassare e neutralizzare il crudo realismo che si profila davanti ai loro occhi senza arrendersi ad esso.
di Chiara Guarino