In occasione del 25 Novembre il nostro Liceo ha organizzato una manifestazione per l’eliminazione della violenza sulle donne. Le dottoresse Rosalia Olivieri, Sylenia Garzone e Giovanna Altieri hanno tenuto una conferenza mirata alla sensibilizzazione dei/delle giovani riguardo la violenza di genere. Di seguito le risposte alle domande poste alle dottoresse da parte del team de “Il Giannoniano”:
- “Resistenza: femminile plurale” è il titolo dato questa giornata. Da cosa nasce la scelta di questo nome?
La scelta di questo nome deriva da un dato di fatto: Le donne da sempre hanno dovuto lottare per avere il proprio riconoscimento all’interno della società. Se in passato la resistenza era fatta in guerra, cercando di essere da sostegno e supporto ai partigiani, oggi essa è portata avanti tutti i giorni da quelle donne che combattono una guerra “non armata”, ma altrettanto importante. Le stesse sono costrette a lottare e r-esistere quotidianamente. Lo fanno battendosi per le proprie idee e affinché le stesse siano viste come degne di nota; ma anche per la propria identità affinché sia riconosciuta, e in ultimo per la propria libertà affinché non sia data mai per scontata. È una battaglia silenziosa in cui si portano avanti i propri ideali e in cui ci si batte per i propri diritti primo tra tutti la parità dei sessi. È una “resistenza femminile plurale” perché interessa tutte, nessuna donna ahimè può reputarsi esclusa da questa continua battaglia. (Rosalia Olivieri- psicologa)
Per quanto riguarda il titolo dell’intervento è interessante analizzare la declinazione plurale che viene data al sostantivo Resistenza. L’analisi storica del concetto ci porta ad una concezione che, inevitabilmente, si dirama e lega diversi destini. La storia è fatta di narrative che nel caso specifico rispecchiano le prospettive femminili a cui volevamo dare luce. Le storie delle donne che nella Resistenza hanno sperimentato la lotta non hanno mai smesso di essere tramandate e, ancora oggi, queste voci devono trovare luoghi e risonanza necessaria per nuove Rivoluzioni. La Resistenza è oggi più che mai ” femminile” perché anche una sola donna che agisce per i suoi diritti inconsapevolmente lotta per quelli di tutte. (Sylenia Garzone- operatrice antiviolenza)
Dagli inizi della mia carriera universitaria e poi professionale ho sempre parlato di donne e di violenza contro le donne. In questa giornata ho potuto far convergere abilmente la mia professione di Assistente Sociale Specialista e di operatrice antiviolenza con il far parte della sezione Anpi di Benevento, da poco costituita. Far parte dell’Anpi significa avere la libertà di poter parlare di diritti e oggi, in rappresentanza dell’Anpi, ho voluto usare, in collaborazione con le mie colleghe, il meraviglioso termine “Resistenza” perché è più attuale che mai e perchè “femminile plurale” comprende le storie di tutte le donne, nessuna esclusa. Le decine di migliaia di donne che presero parte alla lotta contro il nazifascismo, combatterono non solo contro il nazifascismo, ma anche per liberare se stesse dal dominio maschile e patriarcale. Quelle donne scelsero liberamente di combattere, nessun ricatto. La scelta di combattere coincideva con il desiderio di conquistare la parità con l’uomo dopo secoli di subordinazione e questa era una battaglia ancora più dura da combattere, lo è ancora oggi. La Resistenza è stata quindi ANCHE delle donne. La Resistenza oggi è delle donne. (Giovanna Altieri- assistente sociale)
2)Nella società odierna, definita da molte persone ancora “patriarcale”, la violenza diviene un meccanismo per affermare una superiorità di genere. Dove affonda le radici tale atteggiamento?
È sicuramente molto complesso affermare con decisione quali siano le radici alla base della violenza di genere, in quanto il fenomeno è sicuramente determinato da molteplici fattori e complesso da spiegare. Un ruolo importante è sicuramente quello rivestito dagli stereotipi che hanno da sempre contraddistinto la nostra società, sia riguardo all’immagine dell’uomo che riguardo a ciò che dovrebbe essere la donna. A tale proposito potrei fare molti esempi, uno tra i tanti sarebbe legato alle competenze insite per una questione biologica nella natura maschile e femminile, ossia quelle matematiche. Si reputerebbe infatti che esse siano molto più elevate nei maschi rispetto alle femmine. Cosa assolutamente errata, in quanto molti studi psicologici hanno sconfessato questa costatazione notando come non vi siano difatti differenze legate alla genetica bensì il tutto sarebbe legato alla cultura e alle aspettative delle stesse famiglie. Allo stesso modo anche la scelta dei giochi porrebbe in luce il tema dello stereotipo. I genitori fin da piccolissimi cercherebbero infatti di dissuadere i bambini maschi dal giocare con giocattoli (sbagliati) ossia femminili, prediligendo giochi di lotta o in ogni caso più aggressivi e quindi reputati più adatti al sesso maschile. In ultimo anche per quanto concerne i sentimenti i genitori sarebbero maggiormente spinti a discutere di essi con le femmine rispetto ai maschi, dando il messaggio che le emozioni non sono un oggetto di dialogo aperto per i bambini di sesso maschile e quindi non si ha necessità di parlarne. Un grande ruolo purtroppo per quanto concerne la violenza di genere potrebbe anche essere rivestito dalla famiglia e dalle esperienze violente che si possono esperire al suo interno. Sì è visto che vivere in un contesto familiare violento, in cui si è testimoni di una prevaricazione fisica o anche psicologica del proprio padre sulla propria madre, potrebbe avere delle forti ripercussioni sui bambini. I maschi potrebbero una volta adulti potrebbero ripetere quelle azioni violente nei confronti della propria partner perché reputate normali, mentre le femmine una volta donne donna sopportare con più facilità quella sopraffazione e divenire così delle potenziali vittime. Tutto ciò perché in entrambi i casi si è conosciuta solo quella forma di amore e quindi si reputa sia normale esercitare violenza o sottostare ad essa. Quindi si può dire che è spesso un mix di situazioni a dare luogo alla nascita della violenza e in questo la cultura e lo stesso sistema familiare, con l’osservazione di modelli disfunzionali avrebbe un grande peso. (Rosalia Olivieri- psicologa)
3)Durante l’adolescenza risulta particolarmente difficile stabilire la tossicità di un un rapporto, dunque, relativamente all’esperienza maturata nel corso del tempo, quali sono i segnali più comuni che identificano il preludio di una violenza verbale e/o fisica nello specifico nei confronti di una giovane donna?
L’adolescenza è un periodo di sperimentazione e cambiamento. L’evoluzione che caratterizza questo stadio non riguarda solo i cambiamenti corporei ma soprattutto l’impatto che questi possono avere all’interno della società. Ragazze e ragazzi sono quindi immersi in un contesto che li colloca in ruoli diversi e conseguentemente li espone a rischi diversi. I comportamenti preludio di relazioni tossiche quindi riflettono un contesto che richiede di rispondere a determinati standard di identità. Le ragazze costruiscono, con maggiore probabilità, un’immagine di sé incline a sentimenti di emotività e fragilità; i ragazzi, invece, hanno un’educazione che motiva alla virilità e alla forza. I campanelli di allarme riguardano atteggiamenti di controllo e prevaricazione da parte del partner, camuffati da alibi sentimentali e di bisogno. La relazione diventa limitante e confusiva. Gelosia, controllo, accuse e conseguente sentimento di colpa sono segnali che si sta sperimentando un rapporto tossico. L’accettazione di un tipo di violenza struttura una rappresentazione di sé negativa che influenzerà le scelte future. Accettare, in una lite, uno spintone o un insulto ci renderà più inclini a perdonare successivamente uno schiaffo (e così via). Accanto ai rischi, però, esistono dei fattori di protezione, come per esempio mantenere una rete amicale. il confronto con un amica/amico in queste situazioni può fare la differenza. Esiste, inoltre, uno strumento di prevenzione che permette di riconoscere la violenza seppur camuffata e nascosta: l’ ISA. Quest’ultimo è un questionario online anonimo di autovalutazione che restituisce un risultato indice del rischio di sperimentare violenza in un rapporto sentimentale. (Sylenia Garzone- operatrice antiviolenza)
4) Quali sono le strategie che voi assistenti sociali mettete in atto a seguito di un caso di violenza, in particolare violenza contro una donna?
Il percorso di una donna che decide di chiedere aiuto è lungo e faticoso. Ci sono donne che al primo episodio si rivolgono ai centri antiviolenza, ce ne sono altre che purtroppo attendono tanto tempo. La fase della richiesta di aiuto è una fase molto delicata, ma anche decisiva. La donna presenta una chiara difficoltà a parlare del problema per paura di non essere creduta o per vergogna. È molto importante quindi metterla a suo agio in uno spazio in cui sente di poter parlare liberamente. In queste situazioni, da parte nostra è molto facile provare dei sentimenti di rabbia o di sofferenza, ma il nostro compito è rimanere lucide, non influenzando la donna e lasciandola libera nelle sue scelte, facendola sentire accolta qualunque strada deciderà di intraprendere. Diventa sicuramente importante rilevare la situazione di rischio in cui si trova per determinare l’intervento più adatto. L’assistente sociale inoltre, può, più di altri, individuare quelle che sono le situazioni di pericolo attraverso la molteplicità degli interventi, in risposta ai crescenti bisogni sociali, che portano ad entrare nelle famiglie. Nonostante gli assistenti sociali entrino in relazione con donne in posizioni sociali più svantaggiate, il problema della violenza sulle donne non riguarda solamente loro, ma può riguardare ogni singola donna di qualsiasi tipo di estrazione sociale. Uno degli obiettivi del servizio sociale è intervenire nei contesti familiari dove manca la consapevolezza della cultura di genere, per evitare che vengano posti in essere, o meglio reiterati, modelli di comportamento violenti. È proprio per questo che il cambiamento e gli interventi devono avvenire all’interno del tessuto sociale e ciò richiede sinergia e azioni integrate tra servizi sociali, forze dell’ordine e altre istituzioni che sono impegnate nel sociale. L’obiettivo è la creazione di una rete di sostegno che sappia dare una concreta possibilità alla donna di fuoriuscire dalla situazione di violenza, fornendole gli strumenti, le consapevolezze e accompagnandola in un percorso di empowerment e autodeterminazione. Occuparsi di donne vittime di violenza non significa solo offrire alle donne la possibilità di uscirne, significa anche investire quella vita vissuta appresa, in programmi di prevenzione e divulgazione, utilizzando come veicolo di diffusione la scuola. (Giovanna Altieri- assistente sociale)